Il ruolo dei genitori nello sport: le prime riflessioni sul campo

Il ruolo dei genitori nello sport: le prime riflessioni sul campo

Quando parliamo di bambini e sport non possiamo fare a meno di pensare ai genitori e al loro prezioso contributo nella crescita sportiva dei figli. Non solo perché è grazie alla famiglia che i più piccoli arrivano allo sport ma soprattutto perché è grazie ai genitori che rimangono in questo contesto.  Alla luce di ciò, il nostro intervento con il settore giovanile di alcune scuole calcio della provincia di Prato ha visto protagonisti proprio i genitori. Abbiamo proposto loro un’attività per riflettere insieme sul ruolo che essi hanno all’interno della vita sportiva dei figli, individuando quali  sono secondo loro i comportamenti che promuovono il benessere dei figli e quali, invece, quelli che possono rappresentare un ostacolo.

Nel dialogo con i genitori abbiamo potuto osservare due tipologie di atteggiamenti estremi tra i quali esistono diverse gradazioni intermedie. Da una parte un atteggiamento iperprotettivo con cui il genitore tende a anticipare o sostituirsi al figlio facendo per lui alcune attività come preparare la borsa per l’allenamento anche quando è già ampiamente in età scolare. Una conseguenza possibile anche se involontaria di tale  atteggiamento è non permettere al ragazzo di fare i passi di autonomia e responsabilità coerenti alla sua età. Inoltre, si può determinare in lui l’idea di aver bisogno di un aiuto costante per svolgere questi compiti o addirittura di poterlo pretendere.

Al polo opposto troviamo un atteggiamento di spinta eccessiva del figlio con la richiesta più o meno diretta di essere il primo e di vincere. Tali pressioni possono indurre nel ragazzo uno stato di tensione e ansia volta alla prestazione. Un altro rischio è che sviluppi una motivazione esterna ovvero non pratichi sport per il suo piacere e gratificazione ma per quello del genitore.

Il peso delle sconfitte sommato all’ansia da prestazione possono portare il ragazzo all’abbandono sportivo che nell’ambito calcistico è molto precoce (8-10 anni).

Spesso dietro entrambi questi atteggiamenti c’è da parte del genitore la tendenza inconsapevole a proiettare le proprie aspettative e vissuti sul figlio perdendo di vista i suoi reali bisogni. Questo atteggiamento è stato definito dagli stessi partecipanti come “protagonismo del genitore” caratterizzato da ansia, pretese eccessive e non realistiche che finiscono per interferire negativamente sul benessere sportivo e non solo del ragazzo

Tra gli atteggiamenti maggiormente indicati come positivi  troviamo il  dialogo e la collaborazione con il mister.  Genitori e dirigenti sono mossi da uno stesso fine che è quello di favorire la crescita sportiva dei giovani allievi in un ambiente sereno e divertente. E’ emerso che spesso questo obiettivo non viene discusso e condiviso, creando confusione di ruoli e difficoltà comunicative tra gli adulti. Molte volte noi psicologi veniamo chiamati a intervenire proprio quando si creano queste condizioni. Un intervento tempestivo a questo livello permette di creare sin da subito un senso di appartenenza alla società sportiva da parte di tutti gli attori ma soprattutto di contenere gli effetti negativi nei più piccoli. Nell’ambiente sportivo è il mister il loro modello di riferimento; se i genitori non riconoscono questo ruolo perché dovrebbero farlo i loro figli? Fondamentale è dare fiducia all’allenatore e fare in modo che all’interno della società i genitori possano comunque trovare uno spazio per il dialogo e il confronto con i loro rappresentanti.

Un altro comportamento virtuoso riportato da molti genitori è quello di partecipare attivamente alla vita sportiva dei figli. Non basta segnarli ad una società e offrire loro un servizio taxi quando ci sono gli allenamenti e le partite. Occorre interessarsi in maniera autentica al loro sviluppo motorio, attraverso una presenza attenta e un dialogo costante. Se i genitori credono nei loro figli e li supportano, quest’ultimi impareranno a fare altrettanto, incrementando la fiducia in sé, l’autostima e la loro motivazione a giocare in quella squadra.

Dai nostri interventi emerge quanto la migliore aspettativa da parte del genitore verso il figlio sia che si diverta e tragga gratificazione dall’attività svolta. Non tutti i ragazzi che praticano sport possono diventare campioni ma tutti possono imparare dall’esperienza sportiva delle abilità che potranno giocarsi in molti altri settori e momenti della vita. Tra questi il riuscire a collaborare con gli altri per un obiettivo comune, il rispetto delle regole, non arrendersi davanti alla frustrazione della sconfitta imparando che la possibilità di riuscita dipende anche dalla capacità di individuare la strategia giusta e degli obiettivi possibili. Tali apprendimenti saranno un’ottima base per un’idea di sé positiva ed equilibrata.

Dott.ssa Arianna Borsacchi

Dott.ssa Eleonora Ceccarelli

Psicologhe psicoterapeute

Rappresentanti del servizio di Psicologia Sportiva della Misericordia centrale di Prato

 

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