L’abbandono sportivo: un fenomeno in crescita

L’abbandono sportivo o drop-out è un fenomeno che interessa soprattutto i giovani atleti.  La fascia d’età più a rischio è quella tra i 14 e i 15 anni, anche se ricerche recenti mettono in luce che già dopo la scuola primaria, i bambini italiani cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva.

Perché si abbandona lo sport?

Diversi sono i fattori che possono incidere sul fenomeno del drop-out.

Intanto c’è da dire che l’abbandono sportivo può essere considerato “fisiologico” quando si parla di soggetti in crescita, essendo inevitabile un cambiamento di interessi e priorità nelle loro vite. Sono soprattutto gli impegni scolastici a spingere i ragazzi all’abbandono, anche se in questi casi il soggetto può dirsi comunque soddisfatto della propria esperienza sportiva, riavvicinandosi a una qualche forma di attività fisica non  appena riesce a organizzarsi con lo studio. Può succedere anche che la scelta non sia volontaria ma forzata, come quando un atleta subisce un grave infortunio, quando viene allontanato dalla squadra oppure quando mancano risorse esterne per permettergli di continuare l’attività (ad esempio mezzi finanziari o impianti ed attrezzature idonee). In questi casi il ritorno alla pratica sportiva negli anni futuri non è scontato. Come anticipato in un precedente articolo, quando si parla di drop-out la motivazione riveste un ruolo centrale: i bambini e i ragazzi abbandonano lo sport quando la spinta a fare un’ attività e l’impegno a mantenerla in modo continuativo dipendono da fattori esterni. La scelta di fare uno sport perché lo fa l’amico del cuore o il praticare una disciplina per volontà di un genitore, per un suo riscatto personale, sono spinte troppo deboli affinché la pratica sportiva possa essere mantenuta nel tempo. Anche la pressione eccessiva al successo o la spinta a fare agonismo troppo precocemente da parte della società possono essere fattori inibenti la motivazione, da cui spesso possono nascere forme di sdegno e di risentimento verso l’attività sportiva in generale, allontanando i più giovani da palazzetti e palestre per molti anni.

La conoscenza dei fattori che spingono al drop-out sportivo in età giovanile rappresenta il punto di partenza per favorire la prevenzione del fenomeno; e come sempre accade quando parliamo di bambini e ragazzi la responsabilità di un possibile cambiamento spetta agli adulti di riferimento.

Come riportato dal CISSPAT LAB a livello nazionale le buone prassi per prevenire l’abbandono dell’attività sportiva sono:

  1. La prima regola fondamentale per prevenire l’abbandono dell’attività sportiva è la capacità dei genitori di saper distinguere tra le proprie motivazioni e quelle dei propri figli; lo sport deve essere scelto dai ragazzi, secondo i loro gusti e le loro inclinazioni.
  2. La cultura con cui si affronta l’attività sportiva dovrebbe essere condivisa sia dai genitori che dagli allenatori: il focus non è il risultato, ma l’importanza dello sport come strumento di sviluppo e crescita, oltre che come fonte di divertimento e gratificazione. È solo adottando un comportamento coerente tra questo pensiero e il proprio comportamento che le figure adulte che ruotano intorno allo sport possono trasmettere l’importanza di un certo tipo di cultura sportiva ai ragazzi.
  3. L’importanza di sostenere e incoraggiare i ragazzi, evitando aspettative troppo elevate e pressioni esagerate; utilizzare critiche costruttive ed edificanti, cercando sempre di gratificare i ragazzi per i piccoli successi.
  4. Il ruolo dell’allenatore è molto importante: esso non può limitarsi a insegnare tecniche, in quanto il ruolo educativo è intrinseco al suo lavoro.
  5. Facilitare la creazione di un clima positivo all’interno della squadra, favorendo una gestione costruttiva dei conflitti nel gruppo. E’ importante sviluppare condivisione e la definizione di obiettivi comuni tra i giocatori.

Le buone pratiche appena descritte non dovrebbero rappresentare un punto di arrivo quanto piuttosto un punto di partenza; dovrebbero divenire stimoli su cui riflettere ed essere tradotte in interventi ad hoc. Così si può fare prevenzione e contrastare il fenomeno sul nascere. E qui la figura dello psicologo può fare la differenza: la sua presenza, a fianco dell’allenatore e della squadra, risulta assolutamente fondamentale per intervenire precocemente su eventuali situazioni critiche estirpandole da subito. Saper chiedere aiuto è un atto di coraggio, un’ ammissione di responsabilità doverosa soprattutto nei confronti dei più piccoli.

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