Gli adolescenti e la comunicazione ai tempi di internet… Riflessioni tra i banchi di scuola

Eleonora Ceccarelli Psicologa - Gli adolescenti e la comunicazione ai tempi di internet... Riflessioni tra i banchi di scuola

Gli adolescenti e la comunicazione ai tempi di internet

La comunicazione è il fondamento di tutti i rapporti umani. Paul Watzlawick psicologo americano, è stato uno dei primi a effettuare uno studio scientifico sulla comunicazione. Nella sua celebre opera “La pragmatica della comunicazione umana” (1971), Watzlawick  ha concettualizzato i principi fondamentali, definendo la comunicazione come: “uno scambio interattivo fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento”.

Ma il linguaggio orale o i gesti non bastano quando bisogna comunicare su grandi distanze. E ciò ha dato l’impulso allo sviluppo di mezzi comunicazione sempre più sofisticati. I passi avanti fatti in campo tecnologico negli ultimi trent’ anni sono stati enormi e oggi protagonista indiscusso tra i mezzi di comunicazione è internet, la rete di collegamenti informatici che connette vari dispositivi in tutto il mondo. I telefoni di ultima generazione, gli smartphone, sempre presenti nelle nostre tasche o nella nostra borsetta, ci permettono di essere connessi con la comunità di internet sempre, h/24.

Che cosa vuol dire comunicare attraverso internet?

Questa domanda apre un’ ampia riflessione che vede coinvolti pensatori e ricercatori di diversa formazione tra cui troviamo psicologi, sociologi, filosofi, informatici, esperti della multimedialità e del marketing, etc…

Nella mia esperienza di psicologa a nelle Scuole Secondarie di Primo Grado, ho riflettuto molto sul tema insieme ai ragazzi e alle ragazze con cui ho lavorato in aula. E chi meglio di loro, dei “nativi digitali” può aiutarmi ad approfondire cosa vuol dire comunicare ai tempi di internet?!

Nonostante gli anni che separano la mia generazione da quella dei giovani di oggi non siano molti, riconosco che tra di noi c’è un abisso. Quando io ero adolescente ho sperimentato vari strumenti comunicativi che attualmente sembrano essere qualcosa di molto lontano (quasi preistoria) e in alcuni casi addirittura ausili da sfigati! Mi riferisco al parlare con le amiche sotto casa, nei freddi pomeriggi invernali, alle telefonate la sera dopocena con l’amica del cuore (per la gioia di mio padre e della bolletta del telefono!) e poi ancora al lasciare bigliettini anonimi al ragazzo che in quel momento era in voga e una volta approcciato, chiamarlo a casa nella speranza di non incappare nella madre, sono oggi azioni, comportamenti che sembrano non esistere più e che anzi spesso generano nei più giovani risa e scherno. Quali sono gli strumenti che gli adolescenti utilizzano con gli amici o con il fidanzato/a di turno?

Semplice: i social network, ovvero servizi offerti da internet, gratuitamente, attraverso apposite applicazioni – App, il cui scopo è quello di facilitare la gestione dei rapporti sociali consentendo la comunicazione e la condivisione di contenuti attraverso semplici frasi scritte, collegamenti vari, brani musicali, immagini o anche video. Il social più gettonato tra gli adolescenti è senza dubbio WhatsApp, seguito da Facebook (anche se ci si può registrare dai 16 in su!) e da Instagram. Non entro nel merito del tempo che i ragazzi trascorrono a contatto con i social, altrimenti aprirei un altro importante tema, che è quello delle nuove dipendenze, che necessita sicuramente di un approfondimento a parte; tuttavia possiamo immaginare che il tempo passato a chattare sullo smartphone non sia poco, considerandone la diffusione e la presenza.

Ma la comunicazione faccia a faccia esiste ancora? Per fortuna sì…. anche se con grossi limiti.

Sicuramente tra di loro i ragazzi continuano a parlarsi, ma sempre con il cellulare tra le mani. Anche con i genitori gli adolescenti comunicano faccia a faccia; tuttavia, l’uso dei social network è comunque diffuso all’interno delle famiglie. A scuola invece, almeno negli istituti  che ho frequentato dove i telefoni sono interdetti, la comunicazione faccia a faccia resta l’unico strumento di scambio sia con i compagni che con i professori. In questo caso i ragazzi sono “costretti” a confrontarsi con i pari e con i loro docenti. E se chiediamo loro come si trovano in questa modalità comunicativa, le risposte più frequenti mettono in luce il loro disagio e le loro difficoltà. Parlare faccia a faccia con un’ altra persona implica sintonizzarsi con le proprie e le altrui emozioni e dunque preoccuparsi della loro gestione. Oggi i ragazzi sono poco abituati a fare tutto questo anche se la percezione diffusa tra di loro è un altra. Secondo i giovani l’uso di emoticon o faccine, ovvero di riproduzioni stilizzate delle principali espressioni facciali umane rappresentanti un’emozione, permette di manifestare il proprio stato d’animo all’altro. Ma le emoticon ci riportano ancora una volta nel mondo virtuale: sembra che gli adolescenti non facciano distinzione tra reale e virtuale e che dunque per loro esista solo un’unica “realtà”, quella virtuale. Gli effetti che un emoticon può avere su una persona dietro uno schermo, sono sicuramente diversi da quelli generati da una persona in carne e ossa. Allora, forse, possiamo ipotizzare che i giovani sono capaci di riconoscere le proprie e le altrui emozioni (usano le emoticon!), le loro difficoltà riguardano la gestione. Se per esempio dire “ti amo” tramite WhatsApp – magari accompagnato dalla faccina con gli occhi a cuore- è facile per gli adolescenti di oggi, farlo però senza la mediazione di uno strumento elettronico per loro è molto complicato, se non addirittura impossibile in alcuni casi, proprio perché la componente non verbale che accompagna il linguaggio, veicolo della nostra emotività, prende il sopravvento e dunque va gestita.

Se invece viene scelto un apparecchio elettronico a fare da intermediario, come la chat di WhatsApp, tutto è più semplice: questo funge da scudo, dietro il quale potersi riparare senza preoccuparsi della gestione del guazzabuglio di sentimenti e di emozioni che per esempio una frase come “ti amo” comporta sia in chi la dice che in colui o colei la riceve. E finché ci si limita a riflettere sull’uso del “ti amo” ed ai suoi effetti tutto va bene, ma quando ci spostiamo sulle vicende di cronaca che vedono protagonisti i minorenni in episodi di violente offese sui social e cyber bullismo allora tutto si fa più complicato. Ecco che allora lo strumento mediatico può diventare un mezzo molto pericoloso. E ciò determina ansia e preoccupazione tra i genitori e i professori, cioè tra le figure più importanti nella crescita e nella formazione di bambini e ragazzi. Come dobbiamo comportarci nei confronti delle nuove tecnologie? E’ importante non guardare allo sviluppo dei mezzi di comunicazione come a strumenti di distruzione di massa, dai quali dobbiamo immunizzarci. I nuovi media fanno parte del nostro tempo e sono presenti nelle nostre relazioni quotidiane. Dobbiamo imparare a riconoscere la loro potenzialità senza sottovalutare i rischi che essi comportano. Dobbiamo promuovere nei più giovani consapevolezza e pensiero critico nei confronti dei nuovi media e abilitarli al loro uso.

Probabilmente  gli individui continueranno a comunicare con il linguaggio e dunque la comunicazione faccia a faccia non si estinguerà;  tuttavia è importante che tutti coloro che sono coinvolti nella crescita e nella formazione dei minori, genitori, insegnanti, pediatri, psicologi,… non guardino allo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione come a strumenti diabolici da cui è bisogna proteggerci;  semmai il bambino deve poter essere pensato come un soggetto competente, riconosciuto nella sua specificità e non immaginato come un adulto imperfetto, sia perché educare non vuol dire proteggere ma costruire l’autonomia dei soggetti.

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