Allenatori non si nasce, si diventa! Le prime esperienze sul campo: rischi e potenzialità
Molte volte, nella mia attività di formatrice in ambito sportivo, mi sono trovata a tenere lezioni ad aspiranti allenatori. Queste docenze sono per me molto importanti perché permettono di coniugare le mie due grandi passioni: lo sport e la psicologia. Non solo. La mia esperienza di atleta ma anche di tecnico mi consentono di avere un occhio “allenato” nei confronti di tutte quelle situazioni potenzialmente a rischio verso le quali un aspirante istruttore può imbattersi e che dunque necessitano di approfondimento. Andiamo a esaminarle. Come già sottolineato, l’allenatore, insieme ai genitori e agli insegnanti, rappresenta un pilastro fondamentale nell’educazione e nello sviluppo di bambini e ragazzi. Per garantire ciò, l’istruttore deve offrire ai piccoli atleti un contesto dove possono divertirsi. Questo obiettivo può risultare ovvio, quasi scontato, ma di fatto spesso viene dimenticato. Come mai? La prima riflessione che dobbiamo porci è questa: che cosa spinge una persona a decidere di diventare allenatore? Nella stragrande maggioranza dei casi, mi confronto con interlocutori molto giovani, che arrivano a intraprendere il percorso formativo alla fine della loro carriera da atleti, mossi dall’idea di guadagnare qualche soldo continuando a coltivare la loro grande passione. Fino a qui a tutto bene, anzi la passione è una virtù che rappresenta un ottimo punto di partenza nel mestiere di allenatore. Il problema semmai è un altro: freschi della loro esperienza agonistica, molti istruttori rischiano di impostare l’allenamento su aspetti troppo tecnici, tralasciando il gioco e il divertimento. Quando un bambino arriva a fare uno sport non sappiamo qual è la sua motivazione: se vogliamo che quel piccolo atleta si appassioni e rimanga a praticare la disciplina scelta a lungo, dobbiamo offrirgli un ambiente dove stia bene, dove i suoi bisogni vengano soddisfatti. Il divertimento è senza dubbio il bisogno che accomuna tutti i bambini e, come sottolinea la Carta dei Diritti dell’Infanzia, deve essere assolutamente garantito. Per usare le parole di un grande atleta*“C’è un circolo virtuoso nello sport: più ti diverti più ti alleni; più ti alleni più migliori; più migliori più ti diverti”. Questo deve diventare in assoluto il mantra di tutti gli allenatori, di coloro che lavoro con i bambini ma anche di chi si occupa di atleti più adulti: divertirsi è sano e fondamentale a tutte le età. Quando il divertimento non viene garantito, il rischio a cui si espongono i più giovani è l’abbandono sportivo. Gli effetti benefici dell’attività motoria a livello fisico, psicologico e sociale sono oggi abbondantemente dimostrati: allora perché privare i più piccoli di questa possibilità? Quando si parla di minori, la responsabilità del loro benessere è nelle mani degli adulti che sono per loro significativi. Per chi fa sport, l’allenatore è uno di questi. Come si fa dunque a essere dei buoni tecnici e quindi a garantire un ambiente idoneo alla crescita sportiva (e non solo) dei più piccoli? Innanzitutto è opportuno usare un linguaggio semplice, facilmente comprensibile e adatto all’età dei bambini che abbiamo di fronte ma soprattutto è fondamentale servirsi e proporre esempi concreti, far vedere come un esercizio va svolto e dare loro la possibilità di provarlo. Tutti questi accorgimenti mantengono viva l’attenzione, aiutano la memoria e dunque facilitano il processo di apprendimento. Anche variare la presentazione di uno stesso esercizio e supportarne la spiegazione avvalendosi di elementi ludici sono strategie che tengono lontana la noia, incrementano la capacità di concentrazione degli atleti e forniscono un forte impulso motivazionale.
Infine altro accorgimento utile su un piano metodologico è quello di coinvolgere attivamente i giovani atleti nell’allenamento: in che modo? Lasciando loro del tempo per esprimersi liberamente, permettendo che a turno possano scegliere un gioco da fare in gruppo, oppure coinvolgendoli come assistenti, magari nella spiegazione di un esercizio o nel fornire un esempio concreto agli altri. La partecipazione attiva dei più piccoli all’interno del gruppo favorisce lo sviluppo del senso di appartenenza, requisito fondamentale per prevenire l’abbandono sportivo e sostenere la crescita di un atleta all’interno della società; inoltre, promuove lo sviluppo dell’autostima e della fiducia in se stessi, caratteristiche che sono alla base della salute mentale in età evolutiva e la chiave del benessere psicologico in età adulta.
Per concludere, saper insegnare con efficacia, saper interessare, incuriosire e coinvolgere i propri atleti è una vera arte che non bisogna affatto sottovalutare, anzi! E’ fondamentale coltivarla con amore, impegno e serietà. Buon lavoro!
*Pancho Gonzales