Lodare i bambini è utile alla loro crescita ma va fatto con attenzione, anzi con moderazione!

Chi non ha bisogno di riconoscimenti, scagli la prima pietra!

Tutti ne abbiamo bisogno: noi adulti ma anche (e soprattutto!) i bambini. Si tratta di un bisogno fondamentale per la nostra salute fisica e mentale, esattamente come il bisogno di nutrirsi o di dormire.

L’adulto, genitore, allenatore o insegnante, che attribuisce riconoscimenti positivi potenzia nel bambino  la disponibilità ad ascoltare e ad apprendere. Non solo, comunica fiducia e sicurezza al piccolo rispetto alle sue capacità. Attenzione però: affinché le lodi siano funzionali  allo sviluppo psicologico  di un bambino, devono essere fondate,  riferite cioè ad un fatto reale e concreto. Facciamo un paio di esempi. Esempio uno: “Hai fatto bene a presentare al professore i tuoi dubbi sulla gita. Sei stato davvero sincero e l’insegnante lo ha apprezzato. Esempio due: “Complimenti per la gara che hai disputato, sei stato molto bravo. Era una competizione difficile e ti sei dimostrato determinato fino alla fine nel raggiungimento degli obiettivi che ti eri prefissato. Ti sei impegnato molto quest’anno, organizzandoti diligentemente con la scuola e con gli impegni del tempo libero. Te lo sei meritato”.

In questi casi, il riconoscimento dell’adulto riguarda un’ azione specifica agita dal minore: così facendo il genitore/allenatore sottolinea che quel comportamento è ritenuto positivo e dunque il bambino si sente legittimato e motivato a consolidarlo e a ripeterlo in occasioni successive. Nono solo. Il fatto che sia fatto riferimento all’ impegno impiegato per ottenere il risultato è importante: lavorare duramente per raggiungere un obiettivo è una preziosa spinta motivazionale che va  sicuramente sostenuta e incoraggiata. Spesso il fatto di sforzarsi e di impegnarsi viene vissuto come qualcosa di meno importante dell’essere intelligenti. Ma a scuola,  nello sport e in generale nella vita, ogni traguardo da raggiungere si prefigura come una sfida che richiede impegno; per questo motivo, meglio lodare i bambini per le qualità che possono controllare (come l’impegno appunto), affinché considerino le nuove sfide come opportunità per apprendere ma soprattutto per andare avanti nel percorso di crescita, con la consapevolezza che si possa sempre migliorare.

Espressioni di questo tipo invece: ”Sei eccezionale!”, “Quanto sei intelligente!”, Come sei brava”, “Sei davvero un campione” sono lodi non riconducibili ad un’ azione ben precisa; il rischio è quello  di produrre una generica “sviolinata”  che ha effetti negativi sullo sviluppo della personalità  del minore e  sulla relazione tra adulto e bambino.

Quando noi adulti diciamo qualcosa a un bambino indirettamente diciamo qualcosa su di lui. Ogni messaggio che gli viene inviato quindi gli comunica cosa pensiamo di lui e gradualmente il piccolo si costruisce un’immagine di come lo percepiamo come persona. Per questo motivo, qualsiasi comunicazione ha un impatto non solo sull’interlocutore ma anche sulla relazione che abbiamo con lui. Ogni volta che parliamo con i più piccoli, bambini ma anche adolescenti,  aggiungiamo un altro pezzo al puzzle che stiamo costruendo insieme.

I più piccoli hanno bisogno della nostra approvazione per diventare adulti. Non dobbiamo privarli dei nostri elogi per quello che hanno fatto se lo hanno fatto con passione e impegno. In questo caso la lode rappresenta un incoraggiamento: quando abbiamo lavorato duro e fatto un buon lavoro ci fa piacere che gli altri riconoscano e apprezzino il nostro impegno.

Valorizzare  il risultato o il talento , non accresce l’autostima, tutt’altro;  in queste situazioni è stato osservato che i bambini  hanno difficoltà a tollerare le frustrazioni legate agli insuccessi che nella vita possono  inevitabilmente presentarsi;  inoltre,  manifestano maggiore insicurezza  di fronte alle difficoltà e sono  tendenzialmente  più resistenti a mettersi in gioco per migliorare i propri punti deboli.

Insomma, le lodi servono ma ci vuole misura nel complimentarsi con i propri figli per i piccoli o grandi successi quotidiani.

Chi è lo psicologo che lavora in ambito sportivo e di che cosa si occupa

All’interno del mondo dello sport, la figura dello Psicologo sta prendendo sempre più campo e diversi  sono i motivi di questo crescente coinvolgimento. In primo luogo, grazie ad una corretta informazione sulla figura dello psicologo che sta abbattendo numerosi pregiudizi (“A me non serve lo Psicologo dello Sport! Non ho mica problemi!” o “Sto benissimo. Non ho certo l’ansia! quindi a che mi serve? ”o ancora “Mica sono un professionista!”).

La psicologia dello sport è una disciplina relativamente giovane che si è conquistata uno spazio di autonomia all’interno della psicologia. Rientra nella classe della Psicologia Applicata, studia il comportamento umano e i processi psichici nell’ambito dello sviluppo psico-fisico e dell’attività sportiva.

Lo psicologo non è un nemico dello sport, semmai un valido alleato che mette a disposizione la sua specifica formazione per aiutare gli atleti a incrementare la performance individuale o di gruppo. A conferma di ciò, la cronaca degli ultimi decenni riporta sempre più spesso la testimonianza di atleti olimpionici che si sono avvalsi del sostegno di uno psicologo dello sport per migliorare la propria performance. Ad oggi, sono tante le ricerche scientifiche che dimostrano come le abilità mentali possono essere allenate e potenziate, incidendo positivamente sulla prestazione. Infatti, a fianco dell’intensa  attività di ricerca si è fatto spazio il lavoro sul campo, che ha permesso la nascita di diverse tecniche e metodologie in grado di potenziare e migliorare il livello di performance degli atleti e delle squadre di varie discipline. Ma la psicologia dello sport rappresenta una valida risorsa non solo per chi pratica una disciplina ad alti livelli ma anche per tutti coloro che praticano sport, amatori e nonche lavorano nel mondo sportivo (allenatori, dirigenti, tecnici, arbitri, medici, personal trainers, nutrizionisti, etc..) o che vivono il mondo dello sport, per esempio i genitori, possono usufruirne e trarne grandi vantaggi. Quest’ultimi, quando si parla del settore giovanile, rappresentano il target chiave nel lavoro con i più giovani, dal momento che l’obiettivo del lavoro con i bambini e i ragazzi non è tanto la performance quanto piuttosto un sano sviluppo.

Ma il lavoro dello psicologo dello sport spazia anche in altri settori:

  • Area della Terza età: per gli anziani, promuovendo ad esempio lo sviluppo di politiche di promozione dello sport;
  • Area della Riabilitazione (psicotraumatologia): per chi si trova alle prese con la ripresa da un infortunio. In questo settore, lo psicologo interviene sul trauma, sulle paure, sull’ansia da prestazione e sulla perdita di autostima che spesso rendono difficile il ritorno all’attività, ben oltre i tempi fisiologici della riabilitazione fisica.;
  • Area della Disabilità: per le persone con disabilità motorie e cognitive;
  • Area del Fitness: educare a stili di vita attiva e incoraggiare l’adesione a programmi per il fitness, sviluppando o rafforzando delle importanti modalità di cura di sè
  • Area del Wellness: per coloro che praticano attività motoria  al fine di ottenere e mantenere uno stato di benessere psicofisico;
  • Area della ricerca: per promuovere l’ideazione e l’applicazione di metodologie e tecniche sempre più appropriate, aggiornate e trasversali alle aree su menzionate.

Pertanto, seppur nella diversità degli ambiti di applicazione e di obiettivi, lo psicologo e la psicologia dello sport si rivolgono a tutti coloro che praticano attività fisica e/o sportiva direttamente e a tutti quelli che ne sono coinvolti indirettamente (allenatori, istruttori, genitori).

Ragione per cui, risulta importante che lo psicologo abbia un’opportuna. Nello scenario attuale, l’ attenzione agli aspetti psicologici della prestazione se da un lato ha fatto crescere il coinvolgimento e il riconoscimento della categoria professionale, dall’altro ha innescato il proliferarsi di nuove figure, di professionisti della mente  senza alcuna formazione e laurea psicologica. Da qui la necessità di un riconoscimento istituzionale della figura dello psicologo dello sport.

 

 

Il ruolo della famiglia nello sport: genitori sportivi non si nasce…. si diventa!

 

Quando parliamo di bambini e sport, non possiamo fare a meno di pensare ai genitori e al loro prezioso contributo nella crescita sportiva dei figli. E’ all’ interno del sistema familiare che i più piccoli imparano a fronteggiare le diverse sfide che la vita propone loro: i genitori sono per i figli una guida, un riferimento imprescindibile per uno sviluppo sano. Sentirsi sostenuti e incoraggiati dalla propria famiglia promuove nei bambini un atteggiamento di fiducia che permette loro di buttarsi e sperimentarsi nelle varie situazioni quotidiane. Anche cimentarsi in una disciplina sportiva è un’esperienza che dipende dalla propria famiglia: è per mezzo di quest’ultima che i più piccoli arrivano a fare sport ma soprattutto che continuano a praticarlo negli anni. E visto che lo sport, dopo la scuola, è il luogo in cui i più giovani passano gran parte del loro tempo, come possono i genitori motivare e supportare i propri figli affinché l’esperienza sportiva possa essere positiva e formativa? Genitori sportivi non si nasce ma lo si può diventare. In primo luogo, è fondamentale che il genitore svolga un ruolo di sostegno senza però sovrapporsi o peggio ancora sostituirsi alla figura dell’allenatore poiché quest’ultimo, nel contesto sportivo, rappresenta un modello efficace. Se i genitori in primis non ne riconoscono il ruolo, come possiamo pensare che lo facciano i figli? I bambini imparano dal comportamento di mamma e babbo: se quest’ultimi sono capaci di affidarsi all’allenatore, riconoscendone il valore e rispettandone le scelte sportive, sicuramente anche i figli riusciranno a fare altrettanto: la fiducia genera fiducia. Non solo. Il fatto di “delegare” o meglio condividere con un altro adulto significativo, qual è l’allenatore, l’educazione dei propri piccoli, accresce in quest’ultimi la percezione di autoefficacia e sostiene lo sviluppo dell’autostima, poiché i bambini apprendono che possono farcela anche senza l’aiuto diretto dei genitori, seppur consapevoli di poter contare sul lor appoggio ogni volta che ce ne sia bisogno. E sempre partendo dal presupposto che i giovanissimi imparano per imitazione e quindi dal comportamento degli adulti, non bisogna assolutamente dimenticarsi di offrire loro il buon esempio: anche se durante l’allenamento o la partita i bambini sono in carico all’ allenatore, i genitori restano comunque le loro guide principali. Comportarsi in maniera violenta fuori dal campo, autorizza e legittima i più piccoli a fare altrettanto. Purtroppo sono sempre più numerosi gli articoli di cronaca in cui padri di famiglia – qualche volta anche madri- sbraitano con toni oltraggiosi verso l’arbitro o l’allenatore mettendo in discussione il loro operato, o peggio ancora offendono verbalmente i giocatori della squadra avversaria che potrebbero essere i loro figli. La domanda sorge spontanea: cosa muove tali comportamenti? E’ solo la delega di responsabilità a fare da detonatore? Probabilmente no. Troppo spesso capita di proiettare sui figli gli obiettivi che non sono stati raggiunti, nel tentativo di una rivalsa personale, caricando così i più piccoli di pressioni e aspettative che li tengono lontani dal divertimento e da una crescita sana. Infatti, questa situazione espone i bambini ad un forte stress che può condurli ad un abbandono precoce del mondo sportivo, prendendone le distanze anche per molti anni. Quando parliamo di piccoli atleti l’obiettivo primario deve essere quello di farli divertire in un ambiente sereno e sano. Per ottenere questo, ancora una volta, fondamentali sono gli adulti significativi che circondano il giovane sportivo. Se questi da una parte suggeriscono di divertirsi, ma poi si arrabbiano quando il risultato atteso non viene raggiunto, allora trasmettono valori contraddittori e negativi.
Naturalmente desiderare che un figlio arrivi ad ottenere ottimi risultati è normale, ma questo non è sempre sinonimo di vittoria: anche una sconfitta può essere un risultato positivo se comunque un figlio si è impegnato a dare il massimo e si è divertito. Sono gli adulti che devono guidare i più giovani verso una crescita sana. Eloquenti in questo caso sono le parole di Madre Teresa di Calcutta: “La parola convince, ma l’esempio trascina. Non ti preoccupare se i tuoi figli non ti ascoltano, ti osservano tutto il giorno”

CONCILIARE SCUOLA E SPORT SI PUÒ!Mini guida per GENITORI al fine di sopravvivere alla nuova stagione scolastica e sportiva dei figli

La scuola è iniziata da poco più di una settimana e le vacanze sono già un lontano ricordo. Come affrontare al meglio a livello familiare gli impegni scolastici e sportivi? Sappiamo bene che l’inizio, solitamente, non è un momento facile per i figli ma anche per i genitori ….  sopravvivere si può! Anzi, con la giusta organizzazione  la nuova stagione di impegni dei figli può diventare un appuntamento utile e arricchente anche per mamma e babbo.

  1. Parola d’ordine: ORGANIZZAZIONE

Tutti in famiglia devono essere a conoscenza del calendario scolastico e sportivo.

E’ importante averlo sotto osservazione sempre, in modo da avere chiaro quali siano le giornate maggiormente impegnative per i vostri figli che potrebbero richiedere di anticipare lo studio nel weekend. Ciò, vi permetterà di conciliare gare e impegni familiari senza stress.

E veniamo al punto numero.

2. Parola chiave: AUTONOMIA

I giovani studenti della scuola primaria devono essere sostenuti e accompagnati nell’organizzazione… accompagnare non vuol dire sostituirsi a loro. Troppo spesso ascolto racconti di mamme che studiano più dei loro figli. Sicuramente è importante partire da obiettivi semplici e concreti; non possiamo aspettarci che i figli seguano ed eseguano alla lettera le nostre indicazioni, spesso anche molto imperative. Dobbiamo aiutarli con piccoli accorgimenti, con facili cambiamenti nell’ abituale routine affinché possano comprendere quanto tutta questa organizzazione possa diventare un valore aggiunto e non un punizione divina.

Qualche esempio pratico? E qui arriviamo al punto numero 3 che va a braccetto con l’autonomia:

         3. Educare alla RESPONSABILITÀ

Prima ancora di pensare a cosa, a come e a quando studiare, è importante che aiutiate i vostri figli a padroneggiare le routine quotidiane. La sera prima, incoraggiateli a preparare ciò che servirà loro il giorno dopo: vestiti da indossare per la scuola, quaderni e libri da mettere nello zaino, merenda/spuntini per la ricreazione, abbigliamento e/o alle attrezzature che servono per fare sport. È attraverso questi semplici gesti giornalieri che i bambini e le bambine imparano a prendersi le proprie responsabilità. Un’ultima cosa ma non per importanza: ricordatevi che anche nell’apprendimento di queste nuove e sane abitudini vale la regola “ognuno ha i suoi tempi, rispettiamoli!”.

I figli più grandi, gli studenti-atleti delle scuole secondarie di primo grado, dovrebbe gestire queste routine e  i propri impegni scolastici in maniera autonoma. Uso il condizionale perché se non fosse mai stato fatto prima nessun lavoro improntato all ’indipendenza e alla responsabilità, è possibile che abbiamo ancora bisogno di un genitore come tutore nella realizzazione pratica di tutto. In questi casi, occorre riparte dal semplice, dalle piccole routine giornaliere.

      4.  CARPE DIEM!

Il viaggio da e verso la scuola e il campo sportivo non è puramente un servizio taxi: si tratta di un tempo prezioso per la famiglia, un momento dove si può raccontare e condividere eventi quotidiani. Per i vostri figli è anche il luogo dove possono essere svolte tutte quelle attività che non richiedono particolare concentrazione, quali ad esempio: rileggere gli appunti,  sistemare i quaderni, ascoltare  un audiolibro per memorizzare alcune cose studiate a scuola.

Per voi genitori tutto questo può essere un grande aiuto e rappresentare un valido termometro della preparazione scolastica dei figli e del clima emotivo con cui vivono gli eventi didattici e sportivi.

      5. GESTIRE IL TEMPO

Le prime settimane di scuola e sport sono molto faticose per tutti, poi i mesi iniziano a scorrere inesorabili nella loro regolare routine. Potete così imparare ad approfittare del tempo in cui i vostri figli praticano sport per sbrigare alcune commissioni, come ad esempio: per andare a fare la spesa oppure per fare una passeggiata o attività all’aria aperta (se l’ubicazione della palestra lo permette) o ancora per fissare un caffè con un’amico/a.

Campeggiare sugli spalti o negli spogliatoi non è d’aiuto per voi che in quel tempo potete fare altre cose né per le vostre creature che nel contesto sportivo hanno il loro maestro da seguire

       6. IL RELAX….

Trovate il tempo di rilassarvi: non è un’eresia.

È un bisogno che serve a TUTTI i membri della famiglia, nessuno escluso!

Sicuramente imparare a organizzarsi  può risultare macchinoso e molto faticoso le prime volte ma una volta preso il via, gli investimenti fatti da tutti saranno ricompensati.

Iniziate già da ora a pensare a qualcosa che vi piacerebbe fare non appena avrete del tempo libero. E piano piano fate in modo che questi pensieri diventino obiettivi da raggiungere a cui bisogna fare posto nell’ incastro giornaliero. Provateci!

Buon anno scolastico e stagione sportiva  a tutti voi!!!!

QUALE SPORT PER MIO FIGLIO? Alcune indicazioni quando i nostri figli non hanno le idee chiare sulla disciplina da praticare.

Non esiste uno sport migliore o peggiore in termini oggettivi. Tutti gli sport fanno guadagnare salute psicofisica ai più piccoli. E allora, quando i nostri figli non hanno minimamente le idee chiare sullo sport da praticare, noi genitori come possiamo aiutarli ? Innanzitutto dobbiamo partire da questo assunto: dobbiamo orientarli.

Udite udite: orientare, non imporre! Invece troppo spesso capita che siamo proprio noi genitori, in maniera più o meno diretta, a decidere il futuro sportivo dei figli, come abbiamo visto in precedenza rispetto ai nostri personali desideri di riscatto.

Il ruolo dei genitori è fondamentale: chi meglio di noi conosce gli interessi e le abilità dei nostri ragazzi? Infatti orientarli verso la scelta di uno sport vuol dire partire dalla conoscenza delle loro attitudini, valutandone le predisposizioni, le risorse e i punti deboli. Non solo. E’ importante anche conoscere le principali caratteristiche delle varie discipline.  

Spesso si pensa che uno sport di squadra sia la scelta di elezione per quei bambini più timidi, più introversi, che temono il confronto con gli altri. Sicuramente per questi ragazzi uno sport di gruppo risulta essere di aiuto, perché grazie allo stare insieme riescono a superare il timore del giudizio altrui, conquistando una maggiore fiducia in sé; tuttavia, lo sport di gruppo può giovare anche a chi,  al contrario, “soffre” di un’ eccessiva sicurezza, di un’irruenza che si traduce spesso in un atteggiamento aggressivo e “prepotente”. Il fare parte di una squadra promuove un confronto costruttivo continuo che,  attraverso il dialogo e la condivisione di percezioni, offre ai suoi membri una maturazione emotiva, cognitiva e comportamentale; ma soprattutto, l’effetto del gruppo permette di far conoscere la frustrazione e la delusione di un insuccesso senza trasformarli in una sconfitta personale.

Un discorso analogo vale per gli sport individuali. Spesso la loro scelta viene dettata dal grado di autonomia del bambino e dal suo livello di attività: più un giovane è indipendente e iperattivo più la scelta va verso uno sport individuale.  Certamente queste caratteristiche sono utili nelle discipline suddette, ma siamo sicuri che un bambino meno autonomo e meno scatenato non possa trarne beneficio? Per loro questi sport potrebbero rappresentare un utile palestra per crescere e migliorarsi, e allora perché non farli provare?

Conoscere le caratteristiche proprie di ogni disciplina sportiva è importante,  ma ancora più rilevante è offrire ai più piccoli la possibilità di sperimentarsi.

Sarà proprio l’esperienza diretta a  guidarli verso una scelta consapevole, frutto dell’incontro tra le motivazioni del ragazzo e le prospettive fisiologiche, cognitive e di socializzazione insite in ogni sport.  

 

Anche l’età è un fattore utile da tenere in considerazione. Se è vero che lo sport per i bambini è importante, è altrettanto vero che occorre cominciare all’età giusta, senza anticipare i tempi e senza forzare la volontà del piccolo. Ogni cosa a suo tempo, seguendo le indicazioni dei medici. Prima dei 3 – 5 anni è sconsigliato iniziare qualsiasi attività sportiva, eccetto il nuoto, che può essere praticato fin dai primi mesi di vita. Tra i 5 e i 10 anni, i bambini sono molto versatili, quindi bisogna lasciarli provare secondo il loro desiderioL’importante è che, una volta che il bambino ha scelto il suo sport, sia pronto ad impegnarsi per impararlo, passo dopo passo. Ma è tra gli 8 e i 13 anni che i bambini hanno le più grandi capacità per imparare. Non solo possono sviluppare l’elasticità e il senso dell’equilibrio, ma anche la resistenza.

 

“MAMMA E BABBO VOGLIO FARE TENNIS” Quali sono i fattori che influiscono sulla scelta di uno sport e sulla motivazione

L’attività sportiva  ha un’importanza fondamentale nello sviluppo fisico, psicologico e sociale di bambini e adolescenti.

Ma come si arriva alla scelta di un determinato sport? 

Prima Regola fondamentale: dobbiamo essere noi genitori, in primis,  ad arrivare preparati a questo momento, conoscendo i fattori che possono influenzare la scelta.

Prima o poi accadrà che nostro figlio sia interessato  a  praticare uno  sport, presentandosi  con la fatidica affermazione “Mamma e babbo voglio fare tennis”. Sicuramente qualcuno di voi si sarà domandato: Come ha sviluppato l’interesse per questa specifica disciplina?”

Può darsi che sia attratto dal tennis perché lo ha praticato in vacanza oppure perchè lo ha provato alla festa dello sport; oppure ancora perché lo fa l’amico del cuore o qualcuno in famiglia. Ciascuno di questi fattori avrà una sua influenza peculiare non solo rispetto alla scelta e quindi all’ avviamento di un determinato sport, ma anche rispetto al suo mantenimento.

Tutto ciò è riassumibile nel concetto di motivazione allo sport.

Quando si parla di motivazione, si fa riferimento alla spinta dell’individuo ad agire ed a mettere in atto comportamenti orientati a uno scopo. Affinché si inizi nella propria vita a praticare una qualsiasi attività, infatti, è necessaria una spinta, una causa, appunto una motivazione.

Nel caso in cui la scelta di un figlio sia dettata da un’esperienza diretta sul campo, l’avviamento allo sport sarà agevolato e sostenuto da un’ alta motivazione. Quest’ultima, se rimane tale, sarà fondamentale anche nel mantenimento di quella specifica disciplina nel tempo.

Quando invece la decisione è incoraggiata dall’amico del cuore, il piccolo si avvicinerà con facilità allo sport e probabilmente nutrirà anche molto entusiasmo all’ inizio, ma non è detto che manterrà l’interesse per quella disciplina stabile nel tempo; il rischio di abbandono potrebbe essere dietro l’angolo.

Se invece la scelta è dettata dall’esperienza di qualcuno in famiglia, nello specifico di uno dei due genitori, occorrerà fare attenzione e comprendere la reale motivazione che sta dietro questa decisione.

E’ il figlio che ha scelto perché si è appassionato ad uno sport tanto raccontato a casa oppure è il genitore che ha “indirizzato” questa decisione  probabilmente  per  un   riscatto   personale   per   traguardi   che   non   è   riuscito   a   raggiungere? In quest’ultimo caso, gli effetti negativi della scelta non si verificheranno solo a livello della pratica sportiva (scarso coinvolgimento, bassa motivazione, abbandono precoce) ma anche a livello psicologico, ad esempio sull’autostima e sul senso di autoefficacia . Non dimentichiamoci che stiamo parlando di bambini e ragazzi, di soggetti in evoluzione. Lo sport, come già detto all’inizio, serve loro non solo per un migliore sviluppo sul piano fisico ma anche a livello emotivo e relazionale. Soprattutto durante l’adolescenza, la loro personalità si modella sulla base della personalità degli adulti che li circondano;  voi genitori, dovete essere assolutamente consapevoli dell’ importanza del vostro ruolo: le vostre parole e i vostri comportamenti hanno (e avranno) un peso. Per un figlio, sapere che mamma e babbo nutrono e nutriranno fiducia in lui, che lo accettano e credono nelle sue potenzialità, lo aiutano ad accrescere la stima di sé e a essere più sicuro.

 

Sicuramente la situazione in cui un figlio sceglie di praticare uno sport in base alla propria personale esperienza, è la condizione migliore da un punto di vista motivazionale, ma senza un adeguato supporto da parte degli adulti significativi, dei genitori e dell’allenatore, non è detto che possa durare nel tempo.

È proprio il sostegno da parte degli adulti che può fare la differenza anche nei casi in cui la motivazione è bassa, o comunque labile.  

In che modo allora, come genitori, possiamo aiutare i nostri figli a maturare la passione e l’interesse per quello sport?

Per prima cosa dobbiamo essere empatici; Ciò vuol dire aiutarli a stare dentro gli impegni presi, accompagnarli nel loro percorso, stando attenti a ciò che ci chiedono soprattutto con il corpo, con il linguaggio non-verbale, perché con quello verbale a volte non sono in grado di esprimersi.

C’è chi ha bisogno di essere sostenuto, incoraggiato e chi ha bisogno di essere lasciato in pace, cioè di vivere un’esperienza, accompagnato sì, ma messo in grado di potersi confrontare da solo col mondo.

È un diritto dei minori sperimentarsi, nel bene e nel male, senza il controllo diretto dei genitori anche sapendo che un altro adulto vigila su di loro. Inoltre, fondamentale è la consapevolezza dei nostri schemi emotivi, che si traduce nel saper gestire le nostre emozioni e i nostri atteggiamenti e nell’essere consci dell’importante ruolo educativo che si sta svolgendo in quel momento.

“Chi ben comincia è già a metà dell’opera” La tecnica del goal setting e le sue potenzialità in campo sportivo

 

 

Settembre per me è sempre stato il mese dei buoni propositi; l’ estate è al tramonto, le ferie sembrano già un ricordo lontano: avere dei progetti in mente per i freddi mesi a venire è doveroso, anzi fondamentale!

Anche nel mondo sportivo settembre è il mese della “partenza”, periodo in cui si definisce il programma della nuova stagione. Non fa una piega! E allora perché qualche volta accade che pur avendo in mente l’obiettivo o la meta che vorremmo raggiungere, non riusciamo nei nostri intenti? Probabilmente non è così facile come sembra.

La psicologia della sport offre un valido aiuto, proponendo una strategia molto efficace: la tecnica del goal setting o formulazione degli obiettivi.

Io uso moltissimo questo strumento con i miei atleti, soprattutto all’inizio della stagione sportiva.

L’ applicazione della tecnica è facile di per sé e se vogliamo anche veloce (non più di un’ora) tuttavia è necessario un lavoro profondo, di grande consapevolezza da parte dell’atleta che in alcuni casi può necessitare di un sostegno  più prolungato da parte dello psicologo per raggiungere quanto stabilito.

Si tratta di una strategia che può essere usata individualmente o in gruppo e preferibilmente con la partecipazione dell’allenatore.  La condivisione degli obiettivi tra l’atleta e tutte le figure significative che lo circondano è di fondamentale importanza poiché spesso accade che la mancata corrispondenza tra gli obiettivi individuati dall’atleta e quelli dell’ allenatore (talvolta anche tra quelli della società) può inficiare l’esito della prestazione.

Anche se l’esperienza di goal setting di ogni sportivo è soggettiva, è possibile dare una definizione generale delle caratteristiche di questa tecnica. Andiamo a vedere di cosa si tratta.

Intanto, Che cos’è un obiettivo? Possiamo definire un obiettivo “ uno scopo, una meta,un  risultato che ci si propone di ottenere (www.garzantilinguistica.it). Solitamente ciò avviene attraverso il ricorso a strategie e individuando un intervallo temporale entro cui vorremmo che l’obiettivo si realizzi.  Il fattore tempo è importantissimo, ragione per cui occorre individuare e definire obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Gli OBIETTIVI A BREVE TERMINE sono quelli che ci prefiggiamo di raggiungere nel giro di pochi mesi, in un tempo molto breve quindi. Sono gli obiettivi su cui focalizziamo la nostra attività all’inizio dell’anno sportivo, permettendoci così una prima valutazione della nostra performance. Si tratta di obiettivi che definiremo di “prestazione o performance” vale a dire quelli che si focalizzano sull’acquisizione o sul perfezionamento di un gesto atletico o di una certa abilità mentale.

GLI OBIETTIVI A MEDIO TERMINE, si riferiscono ai risultati che vorremmo ottenere all’incirca a metà della stagione sportiva (entro 6 mesi). Questi obiettivi mettono a fuoco la direzione verso cui stiamo andando, facendo emergere ciò che serve per andare avanti.

GLI OBIETTIVI A LUNGO TERMINE sono quelli che vorremmo raggiungere attraverso l’intera annata sportiva, offrendoci così una pianificazione generale di quello che sarà il nostro percorso sportivo. Gli obiettivi a lungo termine stimolano in maniera attiva l’atleta, soprattutto se protagonisti sono i più giovani, maggiormente esposti a un’organizzazione serrata dei ritmi di studio (o lavoro) con gli impegni sportivi.

Oltre al fattore tempo, affinché la tecnica del goal setting sia efficace è fondamentale che gli obiettivi:

  • vengano formulati in maniera chiara e precisa e che siano raggiungibili per l’atleta.

Al contrario, obiettivi ambiziosi o mete troppo vaghe possono esporre l’atleta (e il suo staff) a insuccessi e frustrazioni.

  • Siano misurabili: ciò permette di analizzare nei dettagli il risultato ottenuto e di assegnargli un

punteggio (ad esempio su una scala da zero a dieci) al fine di comprendere cosa ha funzionato e cosa, invece, sarà necessario andare a migliorare.

  • Siano espressi in positivo: le ricerche hanno evidenziato che, in alcuni casi, sia inefficace concentrarsi su obiettivi caratterizzati da frasi che contengono il “non” (es. non devo fare errori, non devo compiere movimento, non devo essere così rigido). Solitamente così facendo otteniamo l’esatto contrario di quello che vogliamo.
  • Siano flessibili; infatti, potrebbe capitare che un atleta si accorga di non essere in grado di raggiungere l’obiettivo prestabilito ad esempio per l’insorgere di un infortunio. Per non vanificare gli impegni di un’ intera stagione sportiva, la strategia migliore sarà quella di ridefinire gli obiettivi prefissati per poter essere sempre motivati a dare il massimo per il loro conseguimento.

Tutte queste regole oltre a promuovere il raggiungimento degli obiettivi prefissati permettono di tenere alta la motivazione.

E allora se è vero che “CHI BEN COMINCIA È GIÀ A METÀ DELL’OPERA” che cosa aspettate? Sotto con il goal setting! 

ABBANDONO SPORTIVO: CAUSE

⚠️Abbandono Sportivo: possibili cause.⚠️
E’ bene partire da qui, dalla conoscenza dei fattori che influenzano negativamente la pratica sportiva.
Prevenire è meglio che curare! E lo sport è sicuramente un alleato della nostra salute a livello fisico, psicologico e sociale.
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