Lo psicologo che lavora in ambito sportivo: destinatari e aree di intervento

All’interno del mondo dello sport, la figura dello Psicologo sta prendendo sempre più campo e diversi  sono i motivi di questo crescente coinvolgimento. In primo luogo, grazie ad una corretta informazione sulla figura dello psicologo che sta abbattendo numerosi pregiudizi (“A me non serve lo Psicologo dello Sport! Non ho mica problemi!” o “Sto benissimo. Non ho certo l’ansia! quindi a che mi serve? ”o ancora “Mica sono un professionista!”).

La psicologia dello sport è una disciplina relativamente giovane che si è conquistata uno spazio di autonomia all’interno della psicologia. Rientra nella classe della Psicologia Applicata, studia il comportamento umano e i processi psichici nell’ambito dello sviluppo psico-fisico e dell’attività sportiva.

Lo psicologo non è un nemico dello sport, semmai un valido alleato che mette a disposizione la sua specifica formazione per aiutare gli atleti a incrementare la performance individuale o di gruppo. A conferma di ciò, la cronaca degli ultimi decenni riporta sempre più spesso la testimonianza di atleti olimpionici che si sono avvalsi del sostegno di uno psicologo dello sport per migliorare la propria performance. Ad oggi, sono tante le ricerche scientifiche che dimostrano come le abilità mentali possono essere allenate e potenziate, incidendo positivamente sulla prestazione. Infatti, a fianco dell’intensa  attività di ricerca si è fatto spazio il lavoro sul campo, che ha permesso la nascita di diverse tecniche e metodologie in grado di potenziare e migliorare il livello di performance degli atleti e delle squadre di varie discipline. Ma la psicologia dello sport rappresenta una valida risorsa non solo per chi pratica una disciplina ad alti livelli ma anche per tutti coloro che praticano sport, amatori e nonche lavorano nel mondo sportivo (allenatori, dirigenti, tecnici, arbitri, medici, personal trainers, nutrizionisti, etc..) o che vivono il mondo dello sport, per esempio i genitori, possono usufruirne e trarne grandi vantaggi. Quest’ultimi, quando si parla del settore giovanile, rappresentano il target chiave nel lavoro con i più giovani, dal momento che l’obiettivo del lavoro con i bambini e i ragazzi non è tanto la performance quanto piuttosto un sano sviluppo.

Ma il lavoro dello psicologo dello sport spazia anche in altri settori:

  • Area della Terza età: per gli anziani, promuovendo ad esempio lo sviluppo di politiche di promozione dello sport;
  • Area della Riabilitazione (psicotraumatologia): per chi si trova alle prese con la ripresa da un infortunio. In questo settore, lo psicologo interviene sul trauma, sulle paure, sull’ansia da prestazione e sulla perdita di autostima che spesso rendono difficile il ritorno all’attività, ben oltre i tempi fisiologici della riabilitazione fisica.;
  • Area della Disabilità: per le persone con disabilità motorie e cognitive;
  • Area del Fitness: educare a stili di vita attiva e incoraggiare l’adesione a programmi per il fitness, sviluppando o rafforzando delle importanti modalità di cura di sè
  • Area del Wellness: per coloro che praticano attività motoria  al fine di ottenere e mantenere uno stato di benessere psicofisico;
  • Area della ricerca: per promuovere l’ideazione e l’applicazione di metodologie e tecniche sempre più appropriate, aggiornate e trasversali alle aree su menzionate.

Pertanto, seppur nella diversità degli ambiti di applicazione e di obiettivi, lo psicologo e la psicologia dello sport si rivolgono a tutti coloro che praticano attività fisica e/o sportiva direttamente e a tutti quelli che ne sono coinvolti indirettamente (allenatori, istruttori, genitori).

Ragione per cui, risulta importante che lo psicologo abbia un’opportuna. Nello scenario attuale, l’ attenzione agli aspetti psicologici della prestazione se da un lato ha fatto crescere il coinvolgimento e il riconoscimento della categoria professionale, dall’altro ha innescato il proliferarsi di nuove figure, di professionisti della mente  senza alcuna formazione e laurea psicologica. Da qui la necessità di un riconoscimento istituzionale della figura dello psicologo dello sport.

 

P… come Positivo! Il pensiero positivo nello sport e gli effetti sulla prestazione

Durante la prestazione i pensieri possono influenzare i comportamenti dell’atleta e dunque influenzare la sua probabilità di successo:  se lo sportivo produce pensieri neri, negativi, questi avranno un effetto catastrofico  sulla performance.

Ma la buona notizia c’è.

La mente può essere allenata a pensare, a credere ed agire positivamente, ad avere fiducia nelle proprie capacità .

Ci si può allenare con la mente a pensare positivamente in qualsiasi sport.

Come? Partiamo da un  esempio.

Un atleta che durante una gara sviluppa pensieri negativi del tipo “sono stanco non arriverò alla fine della gara” oppure  “Non ce la farò mai” rischia di alimentare la così detta “profezia che si autoavvera”. Cioè si metterà mentalmente e fisicamente nelle condizioni di perdere il ritmo e le strategie adeguate a ottenere il massimo da quella competizione. Viceversa un atleta abituato a motivarsi attraverso un dialogo interno positivo del tipo “l’avversario è forte ma ho le risorse per poterlo fronteggiare”, si metterà nelle condizioni psicologiche di gestire la gara nel migliore dei modi possibili.

Il pensiero positivo favorisce la consapevolezza delle proprie capacità e aiutata gli sportivi a superare i propri limiti.

L’atleta può essere allenato a sviluppare un pensiero e un dialogo interno positivi grazie  a specifiche strategie; il self-talk,  è una  delle tecniche più conosciute e usate in psicologia dello sport. Detto con parole semplici, il self talk è il modo in cui l’atleta parla a se stesso, il suo dialogo interno, ed finalizzato a incrementare il controllo del comportamento.

La tecnica consiste nello sviluppo di affermazioni, incoraggiamenti, brevi istruzioni, parole chiave e frasi stimolanti, da ripetere a se stessi, al fine di sostituire eventuali pensieri negativi con stimoli positivi e rinforzanti.

Infine, vista l’importanza del pensiero positivo nel dirigere  le azioni dello sportivo, fondamentale è individuare obiettivi che siano raggiungibili per l’atleta in modo da accrescerne l’ autostima.

L’autostima è frutto del confronto che lo sportivo fa tra gli obiettivi e le sue abilità: per poter raggiungere un obiettivo bisogna credere profondamente di avere le capacità per riuscirci.  In questo modo si crea un circolo virtuoso per cui l’atleta che ha fiducia nelle proprie abilità, tende a perseverare     nell’ impegno anche quando le cose non stanno andando secondo i progetti, a mostrare entusiasmo e ad assumersi la sua parte di responsabilità se il successo viene a mancare.

Praticamente tutto è migliorabile per l’atleta che crede in se stesso. Quest’ultimo vive i momenti di crisi come un’ opportunità: le difficoltà non sono viste come il risultato di un limite personale, ma come una possibilità per individuare le proprie potenzialità e le aree di miglioramento. Al contrario, l’atleta che resta impantanato in uno stato di negatività assoluto, rimane cieco nei confronti dei propri punti di forza, utilizzando così le proprie risorse in maniera inadeguata

 

Per approfondimenti :info@eleonoraceccarellipsicologa.it

La tecnica del goal setting e le sue potenzialità ai tempi del Covid-19

Come ho sottolineato più volte, la psicologa dello sport può essere una valida alleata in questo momento così delicato: gli strumenti che offre, uniti alla disponibilità di tempo, possono supportare “a distanza” la preparazione degli sportivi.

Oggi voglio presentarvi un’ altra tecnica  molto efficace: il goal setting o formulazione degli obiettivi. Io uso moltissimo questo strumento con i miei atleti, soprattutto all’ inizio della stagione sportiva ma può essere una strategia efficace da usare anche in quarantena. Vi spiego brevemente come funziona per poi fare i dovuti approfondimenti.

Intanto, partiamo da questa domanda: Che cos’è un obiettivo? Possiamo definire un obiettivo “uno scopo, una meta, un  risultato che ci si propone di ottenere (www.garzantilinguistica.it)”. Solitamente ciò avviene attraverso il ricorso a strategie e individuando un intervallo temporale entro cui vorremmo che l’obiettivo si realizzi.  Il fattore tempo è importantissimo, ragione per cui occorre individuare e definire obiettivi a breve, medio e lungo termine.

In questo momento formulare obiettivi a medio e lungo termine è difficile perché di fatto in questa situazione di emergenza non sappiamo come ma soprattutto quando potremo ripartire. Ragione per cui, focalizzarsi su una pianificazione a breve termine è la strada migliore da perseguire, mantenendo comunque una attenzione al futuro e a ciò che è importante rimandare e magari rivedere. Infatti, agli atleti che hanno già lavorato sulla pianificazione su tutti e tre i livelli (breve, medio e lungo termine) suggerisco due cose: la prima è quella di mettere da parte il planning stagionale delle competizioni, che magari potrà tornare, anzi sicuramente sarà utile quando tutto ripartirà. E ovviamente quando sarà il momento questo documento dovrà essere rivisto, ridefinendo gli obiettivi prefissati.  

Ricordiamoci che una caratteristica fondamentale del goal setting è  la flessibilità: come di fatto è accaduto in queste settimane, con l’avvento della pandemia, raggiungere gli obiettivi stagionali prestabiliti diventa impossibile. E qui arriva il secondo suggerimento. Per non vanificare gli impegni di un’ intera stagione sportiva e non alimentare la percezione di impotenza e fallimento personale, è importante partire da questa domanda: “Quali sono gli obiettivi che posso raggiungere tenendo conto di questa situazione di blocco forzato?”

Gli obiettivi per gli atleti sono una vera e propria mappa: se le coordinate sono sbagliate e portano verso una meta irraggiungibile, non si arriva a destinazione. Ecco, una situazione di questo tipo non deve assolutamente verificarsi, per non alimentare negli sportivi, indipendentemente dal tipo di disciplina praticata, paure e preoccupazioni inutili, soprattutto ora che viviamo in questa condizione di disorientamento.

La domanda posta sopra “Quali sono gli obiettivi che posso raggiungere tenendo conto di questa situazione di blocco forzato?” è un valido interrogativo anche per chi si trova a cimentarsi per la prima volta con la pianificazione degli obiettivi. E’ importante partire da qui e darsi degli obiettivi giornalieri da rivedere alla fine di ogni settimana. Si tratta di un’importante strategia motivazionale che a sua volta genera soddisfazione e benessere.

Oltre al fattore tempo, affinché la tecnica del goal setting sia efficace è fondamentale che gli obiettivi:

  • vengano formulati in maniera chiara e precisa e che siano raggiungibili per l’atleta. Al contrario, obiettivi ambiziosi o mete troppo vaghe possono esporre l’atleta (e il suo staff) a insuccessi e frustrazioni.
  • Siano misurabili: ciò permette di analizzare nei dettagli il risultato ottenuto e di assegnargli un punteggio (ad esempio su una scala da zero a dieci) al fine di comprendere cosa ha funzionato e cosa, invece, sarà necessario andare a migliorare.
  • Siano espressi in positivo: le ricerche hanno evidenziato che, in alcuni casi, sia inefficace concentrarsi su obiettivi caratterizzati da frasi che contengono il “non” (es. non devo fare errori, non devo compiere movimento, non devo essere così rigido). Solitamente così facendo otteniamo l’esatto contrario di quello che vogliamo.

Ricordo infine che la tecnica del goal setting è molto più efficace se vede la partecipazione dell’allenatore.  La condivisione degli obiettivi tra atleta e istruttore è di fondamentale importanza, in questa condizione di allenamento a distanza lo è ancora di più, visto che si tratta di un strumento concreto, un valido supporto relazionale in questo momento di isolamento forzato.  

Buon lavoro e se necessitate di un approfondimento più individualizzato contattatemi info@eleonoraceccarellipsicologa.it

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Riferimenti Bibliografici:

Il ruolo dell’ allenatore ai tempi del Covid-19. Parola di istruttore! Intervista a Antonella Cerbai Istruttrice FISR

Il ruolo dell’allenatore è di fondamentale importanza e questo è profondamente vero anche ai tempi del covid-19.

Per un’atleta, il coach,  rappresenta un punto di riferimento, una guida da seguire anche durante questa quarantena. Restare in contatto con i propri atleti deve diventare l’obiettivo centrale di tutti gli allenatori. Soprattutto con gli adolescenti, il coach può essere l’interlocutore di riferimento con cui aprirsi e parlare delle proprie emozioni.

 

Per approfondire meglio questa connessione tra allenatori e atleti, ne ho parlato con Antonella Cerbai, istruttrice FISR- ASD Pattinaggio Calenzano (FI).

  • Cosa vuol dire essere allenatori a distanza?

“Cerco di tenere il più possibile i contatti con i miei atleti del gruppo agonismo e di tenerli attivi come posso; non sono molto social, ma con WhatsApp riesco a esserci e a fare molto con loro”.

  • Sono curiosa, in che modo li tieni attivi?

“Mando loro delle sfide, che non sono altro che obiettivi settimanali da raggiungere. Una finalità da perseguire è utile sempre, in questo momento poi ha anche una funzione rassicurante e motivante.  La prima sfida che ho mandato loro è stata quella, trattandosi di pattinaggio artistico, di interpretare il proprio disco di gara, con tanto di trucco e parrucco!.  In cantiere adesso hanno quella di scegliere un brano da interpretare tra 6 che ho inviato loro”.

  • Qual è l’atteggiamento degli atleti? Come percepiscono tutto questo?

“L’atteggiamento dei miei atleti per il momento è commovente reagiscono ad ogni stimolo con entusiasmo e partecipazione.

Sono consapevoli dello sforzo che devono fare per il bene di tutti e seguono le regole come sono abituati a fare….certo gli manca moltissimo poter calzare i pattini come a me del resto ma ci facciamo forza a vicenda!”

  • Ci sono differenze tra età?

“Io ho atleti agonisti compresi in una fascia di età tra i 7 e i 30 anni e devo dire che non c’è differenza nell’impegno che mettono nel rispondere ai miei stimoli….tutti spostano mobili per crearsi lo spazio, impegnando i padri nelle riprese dei video, si truccano e si preparano come fossero in gara, grandi e piccoli ugualmente”.

  • I genitori come percepiscono questa sospensione delle attività, cercano di mantenere un contatto?

“Sì,  i genitori sono presenti interagiscono e vivono questa sospensione esattamente come i loro figli. Io penso che quando ci rivedremo dentro la nostra amata pista di pattinaggio, sapremo trarre da questo brutto momento delle cose positive, ma prima di tutto ci uniremo in un abbraccio perché il contatto fisico e visivo è la cosa che sta mancando di più a tutti”.

 

Un grazie speciale a Antonella per questa sua testimonianza.

Restate connessi con i vostri atleti: l’allenatore è una risorsa preziosissima anche a distanza.

 

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Allenarsi ai tempi dell’emergenza. Con la mente si può!

Cari sportivi, questo momento di emergenza per il Covid-19, assomiglia un po’ ad un infortunio; quest’ultimo, rappresenta un evento destabilizzante le cui conseguenze si manifestano non solo a livello fisico ma anche e soprattutto a livello dell’equilibrio emotivo e psicologico.

Solitamente l’infortunio si presenta nella vita degli atleti senza preavviso: questo è quello che ha fatto il coronavirus, portando lo sportivo (e le  società) ad arrendersi al suo decorso. Razionalmente la situazione è questa anche se praticamente per un atleta questa ”resa” non è affatto facile, anzi!

La psicologa dello sport può essere una valida alleata in questo momento così delicato: gli strumenti che offre, uniti alla disponibilità di tempo, possono supportare “a distanza” la preparazione degli sportivi. Vediamo come.

Una tra le tecniche più adottate e interessanti in psicologia dello sport per incrementare la performance degli atleti, anche durante periodi di infortunio o di stop forzato, è l’imagery, o visualizzazione.

Durante la visualizzazione, l’atleta immagina una situazione o un movimento simulando a livello mentale un avvenimento reale. È come se facesse scorrere nella testa un film che può influenzare o gestire lui stesso.

Di fatto, durante questo tipo di allenamento mentale, gli studi confermano che a livello di attivazione cerebrale la visualizzazione aiuta a rafforzare le vie neurali che innervano i muscoli, ottenendo un risultato paragonabile a quello che otteniamo con l’esecuzione reale.

Ogni persona lo può fare con efficacia e successo. Partendo da una base di rilassamento, si guidano gli atleti nella rappresentazione mentale di immagini visive dapprima semplici ed in seguito complesse.

In ogni disciplina sportiva è utile saper sviluppare la capacità di visualizzare i movimenti. E’ importante visualizzare sia il movimento idealmente perfetto che il movimento compiuto dall’atleta.  Il matching tra le due esecuzioni permette di superare il gap tra ideale e reale.

L’esecuzione ottimale diventa più facile e naturale perché la mente (a livello psicologico) e il cervello (a livello anatomico) si sono abituati a produrre tale esecuzione.

Provare, per credere e se avete bisogno di approfondimento, contattatemi.

Buon lavoro!

Bambini: pronti, attenti e via! Muoversi in casa, si può!

La situazione di emergenza che stiamo vivendo ci impone di passare tanto tempo chiusi in casa. Come possiamo garantire ai nostri piccoli la possibilità di fare movimento?  Semplice, realizzando una gimkana domestica.

Consideriamo quindi questo confinamento in casa per evitare la diffusione del COVID-19 un periodo di cui fare tesoro, un’ occasione per stare in famiglia e da cui trarre grandi insegnamenti. Approfittiamone come un’opportunità meravigliosa per educare, per continuare a formare ma anche per continuare a divertirsi insieme.

Che cos’è una gimkana? Si tratta di una gara all’aperto dove i partecipanti devono percorrere un tracciato dove sono presenti degli ostacoli. Tutto questo solitamente va fatto nel più breve tempo possibile e con il minor numero di penalità.

Ecco, quello che dobbiamo fare è creare tutto questo all’ interno della nostra abitazione.

Non dobbiamo farci condizionare dall’idea che l’attività motoria  possa essere fatta solo all’aperto o dove è disponibile una palestra attrezzata.

Ricordiamoci che i bambini giocano e si muovono ovunque venga loro consentito. Allora, impegniamoci  a creare percorsi con difficoltà lievi utilizzando tutto ciò che abbiamo a disposizione: sedie, tavolini, asciugamani, scotch…via libera alla creatività!

Parola d’ordine DIVERTIMENTO. Condizione indispensabile per l’organizzazione delle attività motorie è che il bambino (o i bambini) provi piacere per ciò che sta facendo.

Quali sono i benefici?

Sul piano psicologico, i benefici sulla crescita e lo sviluppo sono molteplici: l’attività motoria promuove la consapevolezza corporea, migliora la concentrazione, attiva la capacità di prestazione e accresce l’autostima e il senso di autoefficacia.

Inoltre, il movimento aiuta i bambini a rafforzare l‘equilibrio e la coordinazione e ad acquisire padronanza non solo nei confronti del proprio corpo ma anche dei propri gesti in relazione allo spazio e, non ultimo, ai meccanismi del gioco.

Il materiale più importante è la fantasia. Non è necessario pensare ad oggetti o attrezzi particolarmente complessi.  Ad esempio,  possiamo mettere a terra delle bottiglie dell’acqua dicendo al bambino di fare uno slalom tra di esse, magari gattonando oppure strisciando, senza toccarle; oppure ancora possiamo legare una sciarpa a due sedie (o appoggiare il bastone di una scopa) invitando il bambino a passarci sotto( con i più grandi, possiamo esortarli a fare il limbo).

Ai nostri figli sicuramente piacerà tutto questo, per loro sarà una sfida divertente che aumenterà la loro abilità di movimento.

Alcuni suggerimenti e raccomandazioni per la Gimkana domestica:

  • Quale età è consigliata per questo tipo di attività motoria? Praticamente tutte. Detto questo, anche voi genitori potrete cimentarvi nella gimkana. Magari organizzandovi per fare una gara a squadre, ad esempio nel caso in cui i figli sono due: genitori contro figli oppure un genitore con un figlio contro il coniuge e l’altro pargolo.
  • E’ possibile fare una gara a tempo oppure fare una competizione dove vince chi sbaglia meno. In ogni caso è importante che alla fine ci sia un riconoscimento, un premio per tutti. I genitori magari potrebbero preparare dei diplomini o delle medaglie usando materiale di riciclo presenti in casa. Questa attività potrebbe anche coinvolgere i figli più grandi, proprio quelli adolescenti che sicuramente non vorranno fare il percorso.
  • Con i bambini più piccoli, tipo 2/3/4 anni meglio non fare la gara a tempo: sappiamo quanto per loro sia importante arrivare all’obiettivo, ovvero alla fine del percorso, ciascuno con il proprio andamento.
  • Sempre con i bambini di questa fascia di età sarebbe importante creare una gimkana fatta di pochi esercizi: tempi troppo lunghi possono demotivare e indurre perdita d’interesse e attenzione. Inoltre, sarebbe davvero prezioso che un genitore si occupasse di fornire assistenza a bordo del tracciato: i bambini così piccoli potrebbero (fisiologicamente) dimenticarsi il percorso; pertanto, avere qualcuno che stazione dopo stazione ricordi loro cosa fare è davvero utile, non solo per ultimare il circuito ma anche per non vivere inutili frustrazioni.
  • Ricordiamoci che le emozioni sono fondamentali nell’apprendimento ed è indispensabile che il bambino abbia esperienze di vissuto positivo:

ATTENZIONE AL LINGUAGGIO utilizzato con il bambino. Non dire: “non sei capace!” ma “se provi, un po’ alla volta impari”;

VALORIZZARE i piccoli successi del bambino;

DARE FEEDBACK positivi quando il bambino agisce, incoraggiandolo e sostenendolo.

  • Infine, per avere il parere e il significato da loro attribuito all’esperienza vissuta, potrebbe essere utile chiedere loro di fare dei disegni al termine delle esperienze fatte. O con i più grandi, invitarli a raccontare come hanno vissuto l’esperienza fatta.

Buon divertimento e buon lavoro a tutti!!!

EMOZIONI IN CAMPO: riconoscerle per imparare a gestirle.

La maggior parte delle volte che concludo una riunione con i tecnici di una certa società sportiva o esco da un colloquio di consulenza con i genitori di giovani atleti, resto colpita dal fatto che le loro preoccupazioni riguardano principalmente le emozioni vissute dai ragazzi.

Come dargli torto, visto che le emozioni fanno parte di tutti gli eventi della nostra vita, inclusi lo sport e l’esercizio fisico.

Nello specifico c’è chi vorrebbe aiutare le proprie atlete a non avere paura delle avversarie; chi vorrebbe guarire il proprio figlio dall’ansia pre-gara; chi desidererebbe incrementare la motivazione dei più giovani, soprattutto degli adolescenti e c’è chi gradirebbe una ricetta magica per gestire la delusione e la rabbia conseguenti ad una partita andata male.

Insomma, le richieste sono tante, diverse tra loro, ma forse unite da una difficoltà comune: ovvero la percezione che le emozioni spesso sfuggano al nostro controllo. E se parliamo di bambini e ragazzi, questo vissuto si fa ancora più forte visto che noi adulti abbiamo la responsabilità del loro benessere psicologico. Ecco allora perché, tra le tante richieste, troviamo quella di chi vorrebbe addirittura far scomparire certi sentimenti dall’esperienza emotiva dei più giovani-

Ma cosa sono le emozioni? E perché sembrano condizionare così tanto alcuni aspetti delle vite dei ragazzi, degli sportivi e in generale di tutti noi?

L’etimologia della parola emozione deriva dal latino emovère che si traduce “mettere in moto”, “portare fuori”. Infatti le emozioni altro non sono che una risposta ad un determinato stimolo, interno o esterno, che comporta l’attivazione di tutto l’organismo. Ad esempio, quando siamo presi da un’emozione come la paura, il battito del cuore accelera, la sudorazione aumenta, muscoli possono contrarsi di colpo (o al contrario rilassarsi), etc

Tutte queste reazioni psicofisiologiche, conseguenti a qualcosa che accade intorno a noi non possono essere assolutamente cancellate con un colpo di bacchetta magica.

La repressione delle emozioni può generare alla lunga uno stato di malessere mentale, e nei peggiori dei casi allo sviluppo di una vera e propria patologia; per questo motivo, l’inibizione delle emozioni non può certo essere l’obiettivo di chi lavora per il benessere e la crescita delle persone, soprattutto di chi si occupa di bambini e ragazzi.

Quindi, partendo dal presupposto che è assolutamente impossibile bloccare o eliminare le emozioni, come possiamo aiutare gli atleti a gestire i propri vissuti emotivi? In primo luogo è fondamentale aiutare gli sportivi a riconoscere le emozioni vissute, a dare loro un nome; ciò, vale anche per le emozioni negative. È inoltre importante invitare gli atleti a riflettere sul significato che le emozioni assumono nelle diverse situazioni specifiche: per esempio l’ansia spesso indica che il corpo si sta preparando nei confronti di una minaccia mentre la rabbia può rappresentare una reazione ad un vissuto di frustrazione o di delusione. Questo lavoro di “alfabetizzazione emotiva” aiuta i più piccoli a comprendere cosa siano le emozioni, a cosa servono e come si esprimono; in pratica, imparano a capire sé stessi e gli altri a livello emotivo.

L’alfabetizzazione emotiva è soprattutto una sfida e come tale una opportunità. Un ponte che facilita la conoscenza di sé e, in ultima analisi, le relazioni con gli altri. Una dimensione che vale senz’altro la pena di approfondire. Provare per credere!

Per informazione e approfondimenti: Dott.ssa Ceccarelli 3382227321

La riabilitazione di un infortunio è anche psicologica

Chi pratica sport, sia a livello agonistico che a livello amatoriale, prima o poi può imbattersi in un infortunio. Quest’ultimo rappresenta un evento destabilizzante le cui conseguenze si manifestano non solo a livello fisico ma anche e soprattutto a livello dell’equilibrio emotivo e psicologico. Vediamo cosa succede nello specifico.

Solitamente l’infortunio si presenta nella vita degli atleti senza preavviso: lo sportivo non può fare altro che arrendersi al suo decorso. Razionalmente la situazione è questa anche se praticamente per un atleta questa ”resa” non è affatto facile, anzi!

Il fattore tempo per molti può diventare un’ ossessione. Infatti, la prima domanda che uno sportivo si pone al momento del trauma è la seguente: “Quando potrò riprendere?”. Interrogativo che molto spesso diventa anche quello della società e dei genitori, quando l’ infortunato è un giovane. L’atleta tenta così di gestire il danno subito focalizzandosi su immediate fantasie di ripresa; ma quando arriva la consapevolezza che il tempo di recupero è connesso al trauma subito e darne un’indicazione precisa non è possibile, l’incertezza diventa protagonista. Il non sapere quando sarà possibile tornare ad allenarsi e partecipare alle gare, mette in discussione gli investimenti e gli sforzi fatti fino a quel momento, vanificando gli obiettivi della stagione sportiva. L’atleta vive così un forte smarrimento e spesso anche una grande solitudine, poiché è costretto ad allontanarsi dall’ ambiente sportivo, vissuto come una seconda famiglia.

Non solo. Quando il recupero procede positivamente e il rientro in campo è oramai vicino, il ricordo  dell’evento traumatico può ripresentarsi con forza, portando l’atleta a vivere con preoccupazione e insicurezza l’allenamento. Questa condizione risulta essere molto pericolosa, perché può condurre a nuovi infortuni e in casi più gravi, quando l’ansia diventa ingestibile, può spingere l’ atleta ad abbandonare l’attività sportiva.

Si comprende bene quanto i fattori psicologici abbiano un impatto significativo non soltanto sul benessere generale dell’atleta, ma anche sul decorso dell’infortunio. Quest’ultimo, se gestito con superficialità può essere un fattore di rischio per il ritorno alle gare dell’atleta.

L’ intervento dello psicologo dello sport risulta fondamentale quando si presenta un infortunio: la riabilitazione è anche psicologica.

L’atleta infortunato per tornare ad allenarsi con fiducia deve riconquistare la sua identità di sportivo.

Lo psicologo dello sport offre il supporto necessario per mantenere alto il livello di motivazione nei confronti del processo riabilitativo, che spesso è già di per sé faticoso e stressante, promuovendo un atteggiamento mentale positivo e individuando con l’atleta strategie e risorse per affrontare l’infortunio e garantire un  rientro all’attività  sportiva il più sicuro e veloce possibile. Inoltre, esistono delle tecniche mentali specifiche che rappresentano un ulteriore aiuto per lo sportivo.

L’importanza del lavoro psicologico è racchiusa in questo aforisma “Guarire è toccare con amore ciò che abbiamo precedentemente toccato con paura”. S. Levine

Per approfondimenti e domane: info@eleonoraceccarellipsicologa.it

Uno per tutti, tutti per uno! Il lavoro dello psicologo all’ interno di una squadra

In diverse occasioni ho parlato del ruolo dello psicologo in campo; in questo articolo vi illustrerò il lavoro con una squadra.

Quando uno psicologo dello sport inizia un percorso con una squadra, il suo operato non può prescindere dal coinvolgimento del coach. Questo è il primo intervento in campo. E’ fondamentale stabilire con l’allenatore una relazione di fiducia e di scambio reciproco. Perché?

Perché l’allenatore ricopre il ruolo di leader all’ interno di una squadra, guidando i suoi atleti nel complesso dell’attività sportiva che li accomuna. E dunque, anche la riuscita di un lavoro di preparazione mentale per il gruppo dipende dalla sua figura, che diventa quella di facilitatore delle tecniche che lo psicologo insegna alla squadra.

Secondo step importante nel lavoro con una squadra è favorire e costruire il senso di appartenenza al gruppo, ovvero creare la mentalità del “noi”. Lewin (1972) ha definito il gruppo come “una totalità dinamica in cui i membri si trovano in un rapporto di interdipendenza e perseguono un fine comune”. Il gruppo non è la somma dei suoi membri e delle loro caratteristiche personali, è qualcosa di più: il suo elemento distintivo sono le dinamiche che si creano al suo interno. Se il discorso si focalizza sulla squadra sportiva, essa può esser definita come un piccolo gruppo orientato al compito e alla prestazionei cui membri sono interdipendenti, vogliono raggiungere un fine condiviso e sviluppano una identità collettiva. Sono contemporaneamente coinvolti nello sforzo fisico individuale teso al raggiungimento di questo fine, consapevoli che la realizzazione di questultimo dipende dalla collaborazione e dall’ integrazione delle peculiari capacità e caratteristiche di ogni individuo con il resto del gruppo. Il lavoro dello psicologo ha l’obiettivo da una parte di promuovere la nascita e lo sviluppo di sentimenti e atteggiamenti positivi verso l’ ingroup; dall’altra, incoraggiare e dare visibilità a questo senso di appartenenza che è l’essenza stessa del gruppo. Per capire meglio, vi faccio un esempio. Sicuramente tutti voi conoscerete la danza degli “All Blacks”, i giocatori della nazionale neozelandese di rugby , i quali all’ inizio di ogni partita eseguono un complesso rituale maori di fronte agli avversari. L’avere qualche cosa di comune favorisce infatti l’identificazione reciproca tra i membri e la demarcazione dagli altri gruppi.

Infine, ma non per importanza, se la squadra è composta da bambini e adolescenti, il lavoro dello psicologo e dell’allenatore deve coinvolgere anche i genitori.

“Uno per tutti, tutti per uno!” non è solo il motto dell’allenatore e della sua squadra ma deve diventare anche quello dei genitori. E’ grazie a quest’ultimi, al loro prezioso ruolo di supporto nella vita sportiva dei figli, che gli obiettivi fissati e i risultati da raggiungere possono essere conquistati. Per mantenere un buon rapporto con i genitori è fondamentale incontrarli prima di ogni stagione per condividere le modalità operative e comprendere quali sono le loro aspettative. Molto spesso è proprio a questo livello, a livello delle aspettative, che si insinuano criticità tra allenatore, famiglie e società e dunque il supporto dello psicologo può fare la differenza.

 

Se siete interessati ad un approfondimento o ad una consulenza gratuita, scrivetemi a questo indirizzo: info@eleonoraceccarellipsicologa.it

NATALE, VACANZE E SPORT: ESSERE GENITORI DI ATLETI SOTTO LE FESTE

 

 

 

Lo sport non si ferma mai. Anzi, molto spesso è proprio nei periodi di vacanza che gli allenamenti si fanno più intensi. Sicuramente una famiglia che ha un figlio o una figlia (o più figli) che fanno agonismo deve necessariamente contemplare questa dimensione prima di fissare una gita o altro. Se alla trasferta fuori regione con la squadra si sovrappone la vacanza con la famiglia, per molti giovani sportivi può essere davvero una tragedia: infatti, rinunciare all’ appuntamento che vede partecipare tutti i componenti del gruppo per loro è come ammettere di non voler far parte della squadra, di non tenere ai compagni. E sappiamo bene quanto è importante a quell’ età appartenere ad un gruppo di pari. Questo per dire che una famiglia non deve rinunciare ai propri progetti, semmai fare una scelta che faccia contenti tutti, grandi e piccoli di casa. Importante sarebbe parlare per tempo con l’allenatore se in programma c’è una vacanza da fare in modo da non creare spiacevoli sovrapposizioni oppure approfittare della trasferta sportiva del figlio per spostarsi tutti.

Per un giovane atleta che fa sport e lo fa con passione, la possibilità di fermarsi, di riposarsi spesso non viene nemmeno contemplata. E’ più facile che siano i genitori soprattutto quando si parla di bambini e bambine dagli otto anni in su oppure di ragazzi adolescenti a manifestare il desiderio di uno stop. E qui la domanda nasce spontanea : “Chi lo fa sport?” siamo sicuri che l’adulto in questione non si preoccupi più del dovuto, mosso dal fatto che il figlio non lamentandosi mai del carico di allenamento, sicuramente non dica il vero? Una considerazione legittima da parte di un genitore ma se rispetto all’ attività fisica il figlio non manifesta alcun disagio perché arrecarglielo? Sicuramente un po’ di riposo serve, le feste rispondono proprio a questo bisogno anche se negli altri giorni, essendo il campionato in corso e la stagione delle competizioni alle porte, fermarsi a lungo non sarebbe produttivo, né sul piano fisico né a livello mentale. E rispetto proprio alla componente psicologica, gli allenamenti nel periodo delle festività hanno tanti benefici. Molto spesso le società realizzano un orario ad hoc, in modo che i più piccoli possano dedicarsi allo sport ma anche ad altro, come allo studio o alla compagnia degli amici. Sicuramente per un bambino ma ancora di più per un adolescente che fa un bel po’ di sacrifici per conciliare scuola, sport e tempo libero questa è un’attenzione, una riorganizzazione estremamente importante. Non solo, per un bambino o un ragazzo il fatto di poter andare agli allenamenti libero dai soliti impegni e vissuti scolastici, che incidono non poco sulla preparazione sportiva, rappresenta davvero un valido alleato della motivazione e del clima di allenamento.

E tornando ancora al quesito di partenza ”Chi fa sport?” Siamo sicuri che il piccolo atleta in questione sia realmente stanco o forse è il genitore ad esserlo? Certamente gli impegni sportivi quotidiani di un figlio o di più figli si ripercuotono sull’ organizzazione familiare. I genitori non si impegnano solo su un piano economico per lo sport dei figli, molto spesso sacrificano il proprio tempo in favore dei più piccoli. È del tutto normale per un genitore sentirsi affannato, stanco considerando tutto; non è detto però che lo siano i più piccoli. Quindi, sotto le feste, per un genitore forse sarebbe più utile riappropriarsi di spazi e di momenti per se stesso,  anziché pretendere più tempo libero per i figli. Provare per credere!

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