Uno per tutti, tutti per uno! Il lavoro dello psicologo dello sport all’interno di una squadra

In diverse occasioni ho parlato del ruolo dello psicologo in campo; in questo articolo vi illustrerò il lavoro con una squadra.

Quando uno psicologo dello sport inizia un percorso con una squadra, il suo operato non può prescindere dal coinvolgimento del coach. Questo è il primo intervento in campo. E’ fondamentale stabilire con l’allenatore una relazione di fiducia e di scambio reciproco. Perché?

Perché l’allenatore ricopre il ruolo di leader all’ interno di una squadra, guidando i suoi atleti nel complesso dell’attività sportiva che li accomuna. E dunque, anche la riuscita di un lavoro di preparazione mentale per il gruppo dipende dalla sua figura, che diventa quella di facilitatore delle tecniche che lo psicologo insegna alla squadra.

Secondo step importante nel lavoro con una squadra è favorire e costruire il senso di appartenenza al gruppo, ovvero creare la mentalità del “noi”. Lewin (1972) ha definito il gruppo come “una totalità dinamica in cui i membri si trovano in un rapporto di interdipendenza e perseguono un fine comune”. Il gruppo non è la somma dei suoi membri e delle loro caratteristiche personali, è qualcosa di più: il suo elemento distintivo sono le dinamiche che si creano al suo interno. Se il discorso si focalizza sulla squadra sportiva, essa può esser definita come un piccolo gruppo orientato al compito e alla prestazione, i cui membri sono interdipendenti, vogliono raggiungere un fine condiviso e sviluppano una identità collettiva. Sono contemporaneamente coinvolti nello sforzo fisico individuale teso al raggiungimento di questo fine, consapevoli che la realizzazione di questultimo dipende dalla collaborazione e dall’ integrazione delle peculiari capacità e caratteristiche di ogni individuo con il resto del gruppo. Il lavoro dello psicologo ha l’obiettivo da una parte di promuovere la nascita e lo sviluppo di sentimenti e atteggiamenti positivi verso l’ ingroup; dall’altra, incoraggiare e dare visibilità a questo senso di appartenenza che è l’essenza stessa del gruppo. Per capire meglio, vi faccio un esempio. Sicuramente tutti voi conoscerete la danza degli “All Blacks”, i giocatori della nazionale neozelandese di rugby , i quali all’ inizio di ogni partita eseguono un complesso rituale maori di fronte agli avversari. L’avere qualche cosa di comune favorisce infatti l’identificazione reciproca tra i membri e la demarcazione dagli altri gruppi.

Infine, ma non per importanza, se la squadra è composta da bambini e adolescenti, il lavoro dello psicologo e dell’allenatore deve coinvolgere anche i genitori.

“Uno per tutti, tutti per uno!” non è solo il motto dell’allenatore e della sua squadra ma deve diventare anche quello dei genitori. E’ grazie a quest’ultimi, al loro prezioso ruolo di supporto nella vita sportiva dei figli, che gli obiettivi fissati e i risultati da raggiungere possono essere conquistati. Per mantenere un buon rapporto con i genitori è fondamentale incontrarli prima di ogni stagione per condividere le modalità operative e comprendere quali sono le loro aspettative. Molto spesso è proprio a questo livello, a livello delle aspettative, che si insinuano criticità tra allenatore, famiglie e società e dunque il supporto dello psicologo può fare la differenza.

 

Se siete interessati ad un approfondimento o ad una consulenza gratuita, scrivetemi a questo indirizzo: info@eleonoraceccarellipsicologa.it

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Lodare è salutare, esagerare con le lodi è diabolico!

Chi non ha bisogno di riconoscimenti, scagli la prima pietra!

Tutti ne abbiamo bisogno: noi adulti ma anche (e soprattutto!) i bambini. Si tratta di un bisogno fondamentale per la nostra salute fisica e mentale, esattamente come il bisogno di nutrirsi o di dormire.

L’adulto, genitore, allenatore o insegnante, che attribuisce riconoscimenti positivi potenzia nel bambino  la disponibilità ad ascoltare e ad apprendere. Non solo, comunica fiducia e sicurezza al piccolo rispetto alle sue capacità. Attenzione però: affinché le lodi siano funzionali  allo sviluppo psicologico  di un bambino, devono essere fondate,  riferite cioè ad un fatto reale e concreto. Facciamo un paio di esempi. Esempio uno: “Hai fatto bene a presentare al professore i tuoi dubbi sulla gita. Sei stato davvero sincero e l’insegnante lo ha apprezzato. Esempio due: “Complimenti per la gara che hai disputato, sei stato molto bravo. Era una competizione difficile e ti sei dimostrato determinato fino alla fine nel raggiungimento degli obiettivi che ti eri prefissato. Ti sei impegnato molto quest’anno, organizzandoti diligentemente con la scuola e con gli impegni del tempo libero. Te lo sei meritato”.

In questi casi, il riconoscimento dell’adulto riguarda un’ azione specifica agita dal minore: così facendo il genitore/allenatore sottolinea che quel comportamento è ritenuto positivo e dunque il bambino si sente legittimato e motivato a consolidarlo e a ripeterlo in occasioni successive. Nono solo. Il fatto che sia fatto riferimento all’ impegno impiegato per ottenere il risultato è importante: lavorare duramente per raggiungere un obiettivo è una preziosa spinta motivazionale che va  sicuramente sostenuta e incoraggiata. Spesso il fatto di sforzarsi e di impegnarsi viene vissuto come qualcosa di meno importante dell’essere intelligenti. Ma a scuola,  nello sport e in generale nella vita, ogni traguardo da raggiungere si prefigura come una sfida che richiede impegno; per questo motivo, meglio lodare i bambini per le qualità che possono controllare (come l’impegno appunto), affinché considerino le nuove sfide come opportunità per apprendere ma soprattutto per andare avanti nel percorso di crescita, con la consapevolezza che si possa sempre migliorare.

Espressioni di questo tipo invece: ”Sei eccezionale!”, “Quanto sei intelligente!”, Come sei brava”, “Sei davvero un campione” sono lodi non riconducibili ad un’ azione ben precisa; il rischio è quello  di produrre una generica “sviolinata”  che ha effetti negativi sullo sviluppo della personalità  del minore e  sulla relazione tra adulto e bambino.

Quando noi adulti diciamo qualcosa a un bambino indirettamente diciamo qualcosa su di lui. Ogni messaggio che gli viene inviato quindi gli comunica cosa pensiamo di lui e gradualmente il piccolo si costruisce un’immagine di come lo percepiamo come persona. Per questo motivo, qualsiasi comunicazione ha un impatto non solo sull’interlocutore ma anche sulla relazione che abbiamo con lui. Ogni volta che parliamo con i più piccoli, bambini ma anche adolescenti,  aggiungiamo un altro pezzo al puzzle che stiamo costruendo insieme.

I più piccoli hanno bisogno della nostra approvazione per diventare adulti. Non dobbiamo privarli dei nostri elogi per quello che hanno fatto se lo hanno fatto con passione e impegno. In questo caso la lode rappresenta un incoraggiamento: quando abbiamo lavorato duro e fatto un buon lavoro ci fa piacere che gli altri riconoscano e apprezzino il nostro impegno.

Valorizzare  il risultato o il talento , non accresce l’autostima, tutt’ altro;  in queste situazioni è stato osservato che i bambini  hanno difficoltà a tollerare le frustrazioni legate agli insuccessi che nella vita possono  inevitabilmente presentarsi;  inoltre,  manifestano maggiore insicurezza  di fronte alle difficoltà e sono  tendenzialmente  più resistenti a mettersi in gioco per migliorare i propri punti deboli.

Insomma, le lodi servono ma ci vuole misura nel complimentarsi con i propri figli per i piccoli o grandi successi quotidiani.

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